APPROFONDIMENTO/ Vittime innocenti di camorra, non chiamateli “errori”

Quanto accaduto a Napoli in piazza nazionale lo scorso 3 maggio, con il ferimento della piccola Noemi in un agguato di camorra, ha suscitato diverse emozioni e reazioni. Ha mostrato il lato migliore di Napoli, con le reazioni di cittadini, sit-in, gente comune che si è raccolta fuori l’ospedale che spera affinché la bambina si riprenda e possa condurre la vita normale che le spetta. Ma c’è una cosa, inaccettabile, che si ripropone puntuale ad ogni episodio che coinvolge persone estranee alla criminalità. Un’opinione latente, secondo cui il ferimento della piccola Noemi si sarebbe trattato di un errore, effetto di un’azione “maldestra” da parte di un killer “poco preparato”. Questo è il racconto andato in onda in diversi Tg nazionali, ultimo dei quali, solo a titolo di esempio, al Tg2 delle 20.30 di venerdì 10 maggio. E’ un racconto falso, se non addirittura complice. Perché le vittime innocenti di camorra non sono “danni collaterali” indesiderati della “guerra tra clan”, ma conseguenza diretta, inevitabile, di una guerra permanente a bassa intensità che la malavita organizzata, nelle sue molteplici forme, ha dichiarato alla città, alla comunità e alla quotidianità delle singole persone.

LA LUNGA LISTA DELLE VITTIME INNOCENTI – Che non si tratti di episodi isolati o fatti per cui basta l’indignazione di un giorno, lo dimostra l’elenco di “vittime innocenti della criminalità”. Secondo la legge regionale della Campania  n. 11 del 2004, vengono definite tali le persone fisiche “che hanno subito un pregiudizio, fisico o mentale, sofferenze psichiche e danni materiali, in seguito a reati perpetrati dalla criminalità organizzata e comune”. Talvolta il riconoscimento dello status di vittima innocente della criminalità da parte dello Stato diviene motivo di contenzioso e nel 2018 per la prima volta una sentenza del Consiglio di Stato ha dato torto al Ministero dell’Interno per non aver riconosciuto tale status ad un ex servitore dello Stato ferito durante un attentato di matrice camorristica.

Ma a parte queste definizioni, elaborate anche per individuare soggetti vittime di reati come racket e usura, si aggiunge poi l’elenco, crudo e agghiacciante, di chi ha materialmente perso la vita: 419 nomi accertati solo in Campania, pubblicati sul sito web della Fondazione Pol.i.s. – Vittime della criminalità. Di questi, sempre secondo il dossier realizzato nel 2015 da questa fondazione dal titolo “la strage degli innocenti” emerge che oltre il 10% sono bambini o ragazzi. E i fatti degli ultimi anni confermano questa tendenza.

NON ESISTE UN CODICE D’ONORE – Il punto è che per chi spara e per chi manda a sparare, che qualcuno resti ucciso è del tutto irrilevante, senza distinzione, perché quel qualcuno non conta nulla rispetto agli interessi economici, di potere, di controllo violento del territorio; interessi che spesso non hanno altro modo per affermarsi se non quello di mettere bombe o usare le armi in mezzo alla strada e alla luce del giorno. Ancora più subdolo è il tentativo di ridimensionare la sparatoria di piazza nazionale a fatto di criminalità non organizzata, addirittura una “vendetta personale”, insomma non ascrivibile alle dinamiche tra clan. E quale sarebbe, nel 2019, la differenza? Nessuna. Perché la camorra, pur nelle sue molteplici trasformazioni nel corso degli anni, è sostanzialmente questo: un sistema di sopruso, più o meno organizzato, finalizzato a generare denaro in favore di chi specula ai danni della salute, dello sviluppo o della vita della collettività. Punto. E non esiste nessun codice d’onore. In questo senso sono state molto più oneste le parole di Antonio Piccirillo, presente alla manifestazione del 5 maggio proprio in piazza nazionale: “mio padre è Rosario Piccirillo, un uomo che purtroppo ha fatto delle scelte sbagliate nella vita, è un camorrista. (…) Manifesto perché voglio un futuro migliore per la mia città, per i miei figli e per le future generazioni, con dei valori veri (…). C’è chi pensa che la camorra di una volta era meglio, non è così: la camorra ha sempre fatto schifo. Le persone perbene sono quelle che rispettano gli altri, e i camorristi non rispettano nessuno.”

Come disse Felicia Impastato, madre di Peppino ucciso dalla mafia a Cinisi il 9 maggio del 1978, ad alcuni dei suoi parenti e mafiosi del Paese, “la gente vi comincerà ad odiare e per voi sarà la fine”. E di questo che oggi ha paura la camorra. E l’augurio è che insieme alle preghiere per la salute di una bambina ancora in ospedale, non si spenga la rabbia verso quella ingiustizia, che troppe volte assume i contorni della normalità.

Scritto da Dario Chiocca


Classe '78, è tra i fondatori de L'Iniziativa, di cui è presidente. Puteolano, è cresciuto nel quartiere di Monterusciello, dove risiede. Laureato in Giurisprudenza, impegnato da sempre sulle questioni sociali, anche nei movimenti studenteschi e nelle organizzazioni sindacali, dal 2010 è avvocato presso il Foro di Napoli e svolge la sua attività professionale nel campo nel diritto civile e del lavoro. In ambito di normativa del lavoro, si occupa inoltre di formazione.