Terrorismo, libertà, diritto penale: ne parliamo con il Prof. Sergio Moccia

terrorismo-islamico-charlie-hebdo-attentato-focus-on-israelLa strage di Parigi, che è costata la vita a 12 persone della redazione di Charlie Hebdo, pone una serie di domande tra diritto e società. In una visione complessiva possiamo sostanzialmente affermare che questi fatti, certamente destabilizzanti, sono affrontati dalle politiche (tanto nazionali quanto europee ed internazionali) soltanto come fenomeni emergenziali dimenticando da un lato i principi assoluti scritti nelle carte fondamentali quali la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la nostra Costituzione, dall’altra che tali fenomeni emergenziali sono ormai fenomeni strutturati nel tempo e solo apparentemente improvvisi ed eclatanti. Un ragionamento più preciso ci porta a sostenere, per esempio in relazione ai fatti di Parigi, che è emergenziale la strage in se che getta scompiglio nelle vie e costa la vita a persone innocenti, ma allo stesso tempo non è possibile affermare che è emergenziale il contesto dalla quale proviene e cioè il terrorismo di matrice islamica. In altre parole i governi e la politica, intesa in senso generale, hanno strutturato situazioni eccezionali che sono state originate da precedenti disagi sociali anch’essi strutturati ed irrosolti. Ne abbiamo parlato con il Prof. Sergio Moccia, Ordinario di diritto penale al Dipartimento di Giurisprudenza della Federico II di Napoli.

Professore i fatti di Parigi ci pongono di fronte ad un quesito evidente: come si coniugano termini quali libertà di espressione, democrazia, repressione ed eccezionalità della stessa?

Mi ha molto colpito l’intervento di Papa Francesco, che è sicuramente una persona degna di una grande considerazione per le sue obiettive aperture in ordine a problemi molto caldi da affrontare, stando seduti sul soglio di Pietro, tuttavia nel caso specifico mi ha un po’ deluso: il fatto di condannare comunque la violenza mi pare un leitmotiv piuttosto scontato, ma obiettivamente il porre una limitazione alla libertà di espressione è certamente comprensibile; però il problema della libertà di espressione, per come la vedo io, secondo una tradizione del tutto laica che parte dall’illuminismo, ma anche prima se vogliamo, dal giusrazionalismo, o c’è o non c’è. Tranne naturalmente per quei fatti che configurano reati come la diffamazione, l’ingiuria, ma verso una persona singola. Ciò non toglie che possa essere d’accordo sul fatto che magari si può peccare di ineleganza nell’esprimersi, ma il mio problema è questo: quali sarebbero i limiti, poi, di questa libertà di espressione? Si è liberi tranne che per cattive espressioni, tranne che per cattivi pensieri? Se esistesse solo il diritto potremmo discuterne, ma esistono la morale ed il costume che offrono parametri di giudizio in base ai quali io posso rifiutare un’espressione che trovo volgare, oscena o inopportuna; la posso censurare dal mio punto di vista non aderendo ed esprimendo la mia critica, tuttavia non riesco ad immaginare un criterio tale da non mettere in discussione la stessa libertà di espressione. Anche perché chi ci dice che una volta posto un limite poi questo non possa essere spostato sempre più in avanti?

Ferma la libertà di espressione, dunque, la risposta che viene data è il rifiuto di quella espressione che noi troviamo dissonante rispetto alla nostra cultura o alla nostra sensibilità: in poche parole non lo acquistiamo il giornale di Charlie Hebdo, esprimendo, in questo modo il pensiero per il quale non concordiamo affatto con quella linea editoriale, e qui si ritorna a Voltaire…

…possiamo dire che alla massima “non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere” pare si contrapponga quella odierna “non condivido la tua idea e darei la vita perché tu non la esprima”

Ed è esattamente quello che è accaduto… per questo credo che non siano apponibili limiti alla libertà di espressione in punto di principio, pena la negazione della stessa.

E dunque sarebbe opportuno, forse, rispondere a questa offensiva con un rafforzamento dei diritti in generale, ma molto probabilmente vi sarà una risposta repressiva ed eccezionale…

Premesso che esistono le emergenze, io però non credo nell’adozione di strumenti emergenziali di contrasto per un motivo molto semplice: ragionando dal punto di vista del nostro ordinamento, per esempio, nel garantire la pacifica convivenza in libertà, lo Stato, che io continuo a chiamare sociale di diritto, e la nostra Costituzione in particolare – che resti sempre quella! – hanno previsto le possibili condizioni per le quali si interviene, come? Prevedendo fatti di reato offensivi di situazioni di valore, offendibili e tutelabili – quelle che noi giuspenalisti chiamiamo beni giuridici – con un regolare processo, e naturalmente ha previsto la possibilità di indagini laddove emerga una qualsiasi possibile notizia di reato, anche in fieri. Allora gli strumenti ci sono tutti per poter indagare e per poter scoprire.

Ma generalmente si interviene prevedendo nuove fattispecie di reato oppure allargando quelle esistenti…

Esattamente. Ritornando al terrorismo, non riesco a capire, ad esempio, come si possa concepire la paventata fattispecie di reato di addestramento online… ma che significa addestramento via internet? Se un bel giorno voglio curare la mia forma fisica, magari per migliorare nella corsa o per qualsiasi altro fine, visionando video su internet, anche questa potrebbe essere una sorta di addestramento…? Ma sta tutto nella mia testa, e quindi resta al livello del pensiero, e come facciamo ad entrare nella testa degli uomini?

Ed infatti tutte quelle fattispecie che si concentrano nel disvalore soggettivo richiedono, per poter essere provate, quanto meno la messa in atto di condotte facilmente comprensibili che di per se non siano neutre, altrimenti risulta complicatissimo: ripeto, come le proviamo?

Un modo ci sarebbe…

…si infatti… mi viene in mente quando si diceva che erano strumenti utili la confessione o il vecchio arnese della tortura…, ma ragionando per estremi, neppure ci dà garanzie la tortura perché in linea di massima il torturato dirà tutto quello che è necessario purché finisca la tortura, anche menzogne, e dunque non è attendibile, laddove sono attendibili indagini serie, fatte per bene, con tutto lo spiegamento di mezzi che richiede la prevenzione. E la prevenzione significa prima che si commetta il fatto, ma sempre in ordine a condotte ben identificabili altrimenti risulta soltanto una manifestazione di volontà del potere tesa piuttosto che all’effettività o all’efficacia dei controlli, a rassicurare, invece, una parte dell’opinione pubblica, mettendo in atto misure inutili e liberticide.

Dalla repressione alla prevenzione penale. Ma in diritto penale si può parlare seriamente di prevenzione? O forse quest’ultima non attiene ad un campo completamente diverso, ad esempio quello dell’agire politico…

Prevenzione primaria e prevenzione secondaria…,tanto per capirci, ritornando ai fatti di Parigi e tenendo presente il dato criminologico inerente la personalità degli autori dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, non credo che vi sia alle spalle la strategia di una grossa organizzazione perché ritengo che l’azione sia stata piuttosto dilettantesca, sicuramente ispirata a quanto viene sostenuto da Al Qaida e dal “Califfato”, su questo non c’è dubbio. Ma credo che, considerati i percorsi di marginalità e di assoluta mancanza di chance di integrazione che emerge dalle vite di queste persone, siamo certi che questo tipo di ribellione violenta non tragga le sue origini come al solito da condizioni di disagio? Il ragionamento si può allargare anche al campo internazionale, una volta fino agli anni della caduta del muro di Berlino, esistevano i cosiddetti paesi del terzo mondo che avevano come riferimento comunque la lotta al capitalismo, all’imperialismo degli Stati Uniti e di taluni paesi europei, e questa lotta aveva delle connotazioni politiche: si ispirava al socialismo. Muro di Berlino, fine di punti di riferimento del socialismo realizzato che aveva tantissimi difetti anche se qualche cosa di buono, sul piano delle alternative socioesistenziali, pure lo poneva, ad esempio, in riferimento alla scuola, sanità, lavoro, pensioni, etc…, in ogni caso il riferimento di questi paesi era un’alternativa radicale in grado di canalizzare una protesta verso quelle strutture di un capitalismo più o meno ammodernato che erano funzionali a mantenere in una condizione di diseguaglianza e povertà quegli stessi paesi che ora si richiamano all’estremismo islamico.

Cominciamo a preoccuparci degli stessi problemi…

questo voglio dire: In fondo per chi non ha mai avuto niente può anche essere “gratificante” la prospettiva di andare in cielo e di trovare il Profeta che gli garantisce quattro vergini, il pezzo di terra etc…

Dunque prevenire la destabilizzazione dell’ordine pubblico è un fatto innanzitutto sociale?

Certamente, e la questione si pone, tutto sommato, su un piano più superficiale, ma fondamentale nella misura in cui vengono messi in discussione la vita e l’incolumità personale. È un problema di efficienza del controllo di ordine pubblico. Tuttavia ritengo che l’ordine pubblico venga assicurato mediante le garanzie; quello è il vero ordine pubblico. Dunque efficienza dei controlli, si diceva, ma se non ci poniamo nella prospettiva di riflettere sulle condizioni delle persone dalle quali trae linfa una situazione di disagio, con uno sguardo che vada al di là della polemica religiosa o quel che sia, noi il problema non lo risolveremo mai.

Un po come la micro-criminalità in Italia…

certo, magari un pò di fantasia in tema di soluzioni di problemi legati all’uso di sostanze stupefacenti potrebbe far cadere quella soglia così alta che segna un picco tra rapine, furti, scippi e quant’altro. Pensare di risolvere il problema solo sul piano militare significa aver perso in partenza la battaglia o forse la guerra.

Terrorismo e società o meglio terrorismo nella società…come cambiano secondo lei i concetti di sicurezza e sovranità dello Stato?

Sulla sovranità ho molte perplessità perché si diceva sovranità ha a che fare con la moneta con l’esercito, la direzione politica… quanto sia rimasto di sovranità, per esempio, nel nostro Paese ho forti perlessità, a ben pensarci rimane il diritto penale, una magra consolazione, anche perché se abbiamo raggiunto la conclusione che diritto è politica, e conseguentemente il diritto non è altro che la formalizzazione delle scelte della politica, allora abbiamo un’autonomia limitata considerato che diventa sempre più ristretto il margine per una politica che, affrancandosi da una direzione europea, voglia cercare di tener conto di queste esigenze primarie dei cittadini, in qualunque parte si trovino… È in Europa che dovrebbe cambiare l’approccio. Non sarebbe mica un gran male che la politica di solidarietà si estendesse anche all’Europa anche perché abbiamo visto che non è una fortezza inattaccabile. Cosa muta nella sovranità? E la sovranità si è già limitata. O l’ anticipiamo noi con misure demagogiche che fanno da cassa di risonanza all’Europa, oppure è l’Europa che ci manderà, come è già accaduto, una sfilza di indicazioni. Certo che il terrorismo è un fenomeno da controllare da verificare, ma non attraverso la superficiale identificazione di un nemico, in questo caso lo straniero, avallando una sorta di razzismo culturale, in assenza di filtri e remore, che conducono quindi all’autoritarismo. Questo alla fine non serve ad alcunché perché non si pone ad affrontare correttamente i problemi nelle sedi loro proprie.

Sul concetto di sicurezza mi viene in mente quanto era scritto nella famosa Legge Pica del 1863. Quel legislatore utilizzò un linguaggio molto figurativo in grado di evocare le immagini di insicurezza e disordine pubblico nella prospettiva di concetti di sicurezza ed ordine pubblico assai ristretti: vagabondi, manutengoli, oziosi, coloro che scorrono le pubbliche vie…ma stiamo tornando a quel concetto di sicurezza? e che cos’è oggi la “sicurezza” in una visione costituzionalmente e convenzionalmente orientata?

Si torna decisamente indietro. Per me la sicurezza è la sicurezza dei diritti. C’è la Seguridad Nacional importata dal Sud America che è quella in base alla quale, quando venivano messi in discussione taluni privilegi delle classi dirigenti, forti economicamente, una junta militar – ovviamente parlo per schematizzazione – in nome della Seguridad Nacional, agiva contro quei nemici dello Stato che chiedevano, in tempi di crisi, giustizia sociale, lavoro garantito e cioè sempre i diritti elementari; del resto non ho mai visto una rivoluzione dal basso che volesse avere, yachts, ville etc…

Poi c’è un altro tipo di sicurezza ed è la sicurezza dei diritti cioè il fatto di poter essere garantiti in quei diritti convenzionalmente sanciti, e allora ritroviamo il diritto-dovere al lavoro, il diritti di partecipazione all’edificazione della società, il diritto alla salute, all’educazione, a tutto quello che rende una vita degna di essere vissuta. Quella è la sicurezza e che viene delineata dal nostro assetto costituzionale; e l’ordine pubblico, come lo intendo anche io, non è un bene ma una ratio di tutela, nel senso che l’ordine pubblico è dato dalla griglia dei principi di riferimento che dettano le condizioni della vita, individuale e sociale, comprensive di tutte le libertà che conosciamo.

Garantire tutto ciò in un contesto di “perenne emergenza” significa scardinare anche una volontà di strutturare l’emergenza stessa che quindi non è più tale…

…esattamente! non è più emergenza ma i rimedi sforano, dal terrorismo sono passati alla mafia alla corruzione senza alcun risultato…

…se non quello di alimentare la formazione di un “diritto penale del nemico” che si esprime con l’endiadi vittime e carnefici…

Io credo che termini quali, vittime, carnefici, nemici evochino concetti bellici; ci si vuole trovare in guerra… Si sente spesso pronunciare, per tornare al nostro Paese, la frase “i giudici che lottano”; ma secondo me i giudici non lottano, i giudici amministrano la giustizia secondo modi formalizzati e precostituiti.

È un pessimo giudice quello che lotta, perché questo non è compito suo. La lotta deve farla il legislatore, deve fare una lotta efficace e non con i fucili ma cercando di calarsi nella realtà che crea disagio.

Politica…

Politica! con gli strumenti, quelli mai superati, dello Stato sociale di diritto. Io non ne vedo altri

Il problema è l’efficienza dei controlli che presuppone, però, non l’opzione verso un facile modello repressivo, che può avere dei riscontri immediati anche da gettare in pasto all’opinione pubblica, pure con mostri – che poi mostri non sono – da sbattere in prima pagina.

I modelli di riferimento sono certo quelli della risposta penale, quando emerge un fatto, ma se noi non tagliamo l’erba su cui cresce quel tipo di disagio e di violenza non raggiungeremo alcun risultato. Con questo non si vuole dire che a fronte di gravi aggressioni si debbano alzare le mani. Tutt’altro si deve rispondere con efficienza ma questo non basta, perché “la vittoria militare” a poco serve se non sono neutralizzate le ragioni per le quali si forma l’esercito nemico.

…politica ed impegno sociale… fanno sorridere le dichiarazioni di Le Pen comparse sui quotidiani all’indomani della strage di Parigi: “Ora la pena di morte”… qual è l’agire politico orientato al rispetto dei diritti fondamentali e quale deve essere l’azione del legislatore per un diritto penale rispettoso delle garanzie irrinunciabili sancite nelle carte fondamentali?

…ma io sto vedendo che in questi ultimi anni il legislatore è disattento, poco informato e poco propenso a lasciarsi informare.

Vi sono, del resto, due orientamenti politici; da un lato quello elettoralistico dall’altro uno serio. Non che sia meno serio quello elettoralistico, io lo ritengo poco valido perché credo che la responsabilità di una forza politica sta anche nel compiere scelte impopolari purché coerenti con le proprie idee, questo da che ho memoria, io non l’ho visto fare.

Il problema però, ritornando alle dichiarazioni di Le Pen, è che il rimedio che propone, quello della pena di morte, per esempio, è rimedio che, con un minimo di informazione elementare, diciamo da “scuola serale del diritto penale per terza età”, farebbe capire che con la pena di morte non si risolve “il resto di niente”, sapete perché? Perché la conoscenza basilare di psicologia criminale ci dice due cose: nella normalità dei casi chi delinque ritiene di non essere acciuffato; ci sono poi coloro che per convinzione non si preoccupano affatto della pena tant’è che sono disposti a farsi saltare in aria o farsi ammazzare; dunque il rimedio della pena di morte è proprio una baggianata che serve soltanto per cittadini disattenti che vanno avanti per emozioni, laddove la pubblica opinione è diversa dalla media statistica delle emozioni private… è un’altra cosa, è un tasso di civiltà che richiede formazione e non improvvisazione emotiva;

Forse la Costituzione, ed è per questo che è tra le più avanzate in Europa, aveva previsto tutto questo. La nostra costituzione repubblicana, forse, detta un principio di carattere generale quando incentra il suo essere nella figura del cittadino, vero “istituto” di diritto in grado di sconfiggere i mali che attanagliano la legalità costituzionale…

Un cittadino consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri e ciò vuol dire che ci vuole un partner affidabile perché intanto puoi chiedere l’osservanza degli obblighi in quanto chi chiede poi è disposto ad osservare i suoi di obblighi… allo stato attuale delle cose il cittadino risulta dover essere migliore dello Stato perché al cittadino si richiede obbedienza e rispetto dei doveri, quando lo Stato latita dal punto di vista dei suoi obblighi; tant’è che di fronte all’eccezionalità degli strumenti normativi, di volta in volta messi in campo, comunque non si sono ottenuti i risultati sperati, ed ogni volta è richiesto “un giro di vite” in più, ciò significa che lo strumento repressivo prima predisposto non ha funzionato. Perché, dunque, insistere per questa via se non porta risultati? E allora ritorniamo all’inizio della nostra conversazione…

DI ALDO CIMMINO

Scritto da Aldo Cimmino