RIFLESSIONI su Mafia Capitale: l’inchiesta rivela un nuovo fenomeno criminale da configurare, tra associazione a delinquere ed eversione

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“A Roma una mafia c’è e si vede” … Così si intitola uno scritto di un noto giurista che di recente si è posto il problema dell’inquadramento giuridico, e quindi sociologico, del fenomeno di Mafia Capitale. Se la mafia a Roma esiste, sarà l’opera della magistratura a dircelo. Tuttavia, lungi dall’analizzare gli aspetti tecnici della questione, che richiederebbero una vera è propria disamina dei dati normativi che connotano il nuovo fenomeno mafioso, v’è da notare che il Bel Paese si appresta ad affrontare una nuova, o forse troppo antica, stagione.

Nessuno può negare, infatti, che le numerose vicende della tormentata storia giudiziaria italiana hanno sempre determinato cambiamenti profondi nell’assetto sistematico delle norme, tanto di diritto penale che di diritto processuale penale.  Conseguentemente, ciò ha inciso sull’identificazione di fenomeni che si è preferito definire quali entità a se stanti, come calati dal cielo, ai quali era necessario rispondere in via emergenziale, piuttosto che prevedere una risposta organica ed organizzata, sia da un punto di vista preventivo che da un punto di vista giudiziario.In altre parole, dal terrorismo degli anni di piombo alla stagione della tensione stragista politico-mafiosa, che oggi trova il suo epilogo nel processo alla trattativa stato-mafia, si è sempre preferito agire d’urgenza e mai in modo sistematico. È quanto sta accadendo anche con Mafia Capitale.

La grande inchiesta romana investe tutti i piani, da quello civile a quello giuridico e normativo, e pone oggi ogni sorta di problema. Primo tra tutti è la configurazione di un nuovo modello di mafia.  L’organizzazione criminale capitolina è stata, infatti, inquadrata nell’ambito del delitto di associazione mafiosa, quasi snaturando la struttura della norma che fu introdotta nel 1982 e che incrimina, appunto, l’associazione mafiosa.

Quando il Parlamento approvò la legge che introdusse il famoso delitto di cui all’art. 416 bis del codice penale, previde una norma che aveva una sua propria ragion d’essere. Una norma pronta a sanzionare, finalmente, l’esistenza di quelle consorterie mafiosa dotate di una carica intimidatoria autonoma derivante dalla storia stessa del gruppo criminale, costellata da atti di violenza, di minacce e di sopraffazioni, e nella quale affonda le radici.

Diverso è per Mafia Capitale. Una nuova mafia, che certamente ha legami storici con la Banda della Magliana e con l’eversione nera, ma non più certamente attuali, almeno nelle loro connotazioni classiche, essendo quelle organizzazioni disciolte da tempo, e dunque non dotata di quella carica intimidatoria propria della criminalità organizzata.

Le scelte di strategia giudiziaria operata dalla magistratura inquirente romana comportano conseguenze sul piano della definizione giuridica e quindi sociale di mafia. Mafia non è più il braccio armato e di organizzazione territoriale delle logiche corruttive e di contiguità, ma diviene essa stessa logica superiore, dotata di autonoma forza, sganciata dal sistema di potere. In altre parole, al livello di mafia si riducono i fenomeni dell’eversione politica e delle strategie corruttive che mirano al sovvertimento dell’ordine costituzionale. E così nel tentativo di attribuire forza e vigore all’azione giudiziaria, in quanto azione antimafia, si paga, forse, uno scotto maggiore. E cioè quello di rendere invisibile la cabina di regia del potere anticostituzionale che per anni ha guidato l’azione della mafia nei suoi rapporti con la politica.

Se, definire il gruppo di Carminati come mafioso significa ottenere una serie di vantaggi a livello processuale, sul piano della prescrizione del reato, sui tempi più ampi per l’applicazione delle misure cautelari e addirittura sul piano della futura fase esecutiva della pena, tuttavia è un’operazione che, nello stesso tempo, comporta una omologazione di diversi fenomeni sociali, politici ed economici, che hanno natura diversa e investono diverse responsabilità. Che fare per evitare il rischio di un effetto boomerang? Probabilmente, infatti, qualcuno avanzerà l’ennesima proposta di modifica del delitto di associazione mafiosa. Probabilmente, qualcuno coglierà la fortunata occasione per spuntare ancor di più, se possibile, le armi del contrasto giudiziario alle consorterie mafiose.

Scritto da Aldo Cimmino