“Terra – Un’installazione teatrale”, successo al Napoli Teatro Festival

Come un guardiano austero e testimone del tempo il castello di Baia, museo archeologico dei Campi Flegrei, ha fatto da naturale scenografia e insieme luogo privilegiato di espressione per “Terra – un’installazione teatrale”, in prima nazionale per due sere nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia 2019, diretto da Ruggero Cappuccio.

GLI ARTISTI IMPEGNATI – La regia è di Pako Ioffredo, che ha scritto i testi ed è interprete insieme a Giuseppe Brunetti, Mario Cangiano, Demi Licata, Marco Sgamato. Le installazioni audiovisive sonodia Mauro Di Rosa.
L’allestimento fotografico è di Paolo Visone. Le musiche originali sono di Giuseppe Brunetti, Alfredo Pumilia, Pino Ruffo. Irene Grasso riveste il ruolo di aiuto regia. Le luci sono curate da Alessandro Messina. I costumi sono di Tonia Rendina, con la collaborazione artistica di Ludovica Tinghi.  Un progetto in cui ha creduto il Produttore esecutivo: Roberto Roberto.

LA RECENSIONE – È la terra nella sua carica primordiale incontenibile, che si forma e deforma attraverso il tempo e la storia, la protagonista di questo che è molto più di uno spettacolo, elevandosi, attraverso la più cruda manifestazione dell essere umano e dei suoi tratti meno plasmati e impuri, a metateatro. Gli attori sono immersi in un percorso di ricerca delle origini, dell’identità perduta, attraverso i tumulti impetuosi della terra bradismica che caratterizza la natura di  Pozzuoli e i vagiti del vulcano che arde, la Solfatara, sospesi tra incanto e disicanto a narrare le “gesta” normali degli abitanti del Rione Terra, che si vedono sottrarre la propria terra ballerina, in un grido generale di allarmismo e catastrofe annunciata e mai avvenuta.

Attraverso il puteolano arcaico, lingua degli antenati, viene raccontato il sogno di un popolo e la sua storia, si narra di viaggi dal sapore mitico, quello che permea di sè questa terra. Viaggi che, come ricordano le installazioni visive, sono diventati esili permanenti e poi la presenza costante e insieme tormentata di un mare che bagna, accompagna, addolcisce ma talvolta  porta via con sé ogni brandello di speranza. Il mare bagna l’anima, la anima, la rende viva attraverso il tempo nei corpi, nei gesti, nella voce dei protagonisti. L’umanità più variegata è protagonista di “Terra”, quella più vera e incontenibile scovata tra vicoli e strade strette dell’antica rocca puteolana. Un’umanità fiera, autentica che assume tratti quasi mitici, che ricordano il sacrificio degli eroi terreni alle divinità.
Ad accompagnare la terra che arde insieme ai suoi abitanti, nel piccolo fazzoletto di palco ricreato, la musica nella sua essenza più popolare, folkloristica, strumentale che si fa essa stessa battito, pulsione, tempo emotivo e insieme narrazione.

È il mito che permea di sé la storia e ogni elemento naturale: l’acqua, il fuoco, la terra, la luce o il buio sembrano rimandare ad altro in un rapporto costante e dialettico tra un passato ancestrale e il presente.

Lo spettacolo di Pako Ioffredo ha il merito di ricreare tutto ciò in una grande armonia, seppur distopica, di volti, corpi, suoni, storie insieme vitali e disperate. E i tanti volti, come quelli rappresentati negli scatti di Paolo Visone, che campeggiano sulla parete a far da sfondo alla rappresentazione, raccontano l’esilio in un linguaggio che dal particolare diviene universale. Il passaggio del tempo segna i volti rappresentati e diviene segno intriso di memoria, ricordi in quei volti così espressivi messi a nudo nella loro veste più autentica, senza schermi. Il Rione Terra, l’antica rocca puteolana, chiusa da quasi 50 anni a seguito dello sgombero del 1970  rivive liberandosi da decenni di oblio, di bugie, di oscurantismo. Un mondo inaccessibile di una varietà umana pittoresca e fervida viene fuori e riacquista dignità, attraverso un linguaggio dei sensi che spinge fino al limite sull’ emotività.

Lo spettacolo messo in scena al Castello di Baia si articola in più momenti e due fasi: dalla raccolta di testimonianze e materiali documentaristici  all’elaborazione di una scrittura per una drammaturgia della memoria; dalla produzione di materiali multimediali e sonori, alla messa in scena finale.

LA SPERIMENTAZIONE CONTINUA – Siamo solo al “primo movimento” eppure ogni certezza sui luoghi protagonisti, sulle genti, sulla storia tramandata è già stata alterata e irrimediabilmente compromessa. L’unica certezza in essere è che “al di sopra dell’acqua o al di sotto” la terra vive e si riscopre nell’essere comunità, nell’appartenenza ritrovata e mai perduta.

Ed è proprio su questi pilastri che si potrebbe aprire un.discorso più vasto, come provano a fare i  giovani artisti o tessuti fervidi come alcuni circuiti associazionistici che da anni si battono per restituire luoghi negati alla cittadinanza. Il Rione Terra ne rappresenta un emblema e si inserisce in un dibattito sul turismo culturale nei Campi Flegrei come risorsa di crescita,  riscoperta dei luoghi, sviluppo, lavoro che ad oggi ha ancora tanti interrogativi e incertezze.

La creazione finale di “Terra” debutterà nella stagione teatrale 2019/2020.

Scritto da Valentina Soria


Mi chiamo Valentina Soria, sono giornalista pubblicista, laureata alla magistrale in Comunicazione Pubblica e d’Impresa. Mi interesso di comunicazione a 360°, dal giornalismo al copy writing alla cura di uffici stampa. Amo la mia terra flegrea e credo nell’importanza di dare “voce” alle piccole e grandi criticità del territorio con coraggio ed onestà.