Memorial Nelson Mandela, immagini e parole del Mondo che cambia

La stretta di amno tra Barack Obama e Raul Castro al Memorial Mandela.
La stretta di amno tra Barack Obama e Raul Castro al Memorial Mandela.

Riassumere in poche parole la grandezza di Nelson Mandela è impossibile. Di tutti i suoi meriti, quello da evidenziare di più è stata probabilmente la capacità di trasformare la sua sofferenza in forza, le sue ferite in saggezza, la sua vittoria in esempio. Mandela ha trascorso quasi 27 anni in prigione, durante l’Apertheid, quando in Sudafrica essere “cittadini” con pieni diritti civili coincideva con il colore bianco della pelle. Dalla prigione non si è piegato, ha mantenuto il controllo politico del suo esercito dell’ANC (African National Congress), ed è con lui che il governo in carica fu costretto a trattare per la transizione, già prima della sua scarcerazione avvenuta l’11 febbraio del 1990, alla quale seguirono la nomina ufficiale di Presidente dell’Anc nel 1991 e quella di primo Presidente del Sudafrica libero nel 1994.

Eletto democraticamente a capo del Sudafrica avrebbe potuto indirizzare l’odio dei neri verso gli ex oppressori. E invece fu lungimirante ed evitò la guerra civile con l’istituzione della Commissione per la Verità e la Conciliazione, ponendo le basi per la convivenza degli anni a venire. Da Presidente, provò ad affrontare i problemi legati alla povertà e alla lotta all’Aids, sfidando la contrarietà di poteri forti e multinazionali farmaceutiche. Non era una battaglia da poter vincere in 5 anni, ma lui la proseguì anche dopo essersi ritirato dalla vita politica attiva, guidando la campagna di raccolta fondi per la ricerca contro il virus HIV e utilizzando come simbolo il numero “46664“, quello attribuitogli da detenuto in carcere.

Se la vita di Mandela ha imposto rispetto da vivo, il saluto dopo la morte è già motivo di riflessioni. I funerali di popolo si terranno domenica prossima nel villaggio di origine di “Madiba”, mentre ieri – martedì 10 dicembre – allo stadio Soweto di Joannesburg si è svolto il Memorial Mandela davanti ai Grandi della Terra. La cerimonia ha rappresentato, più o meno consapevolmente, l’immagine di un Mondo che cambia, che nel 2013 è ben lontano dagli schemi e dalle classificazioni del novecento.

Dopo le parole del suo amico e compagno di cella Thanduzolo Mlangeni, l’intervento più applaudito di tutti è stato senza dubbio quello di Obama. Qualunque cosa pensino intellettuali o presunti “osservatori” sparsi nel Mondo, gli Stati Uniti di oggi sono cosa diversa da quelli di ieri, o comunque sono percepiti in modo diverso dalle masse del Sudafrica, almeno da quelle presenti ieri allo stadio nonostante la pioggia incessante. Obama  ha definito Mandela “un gigante della storia” e “ultimo grande liberatore del XX secolo” e a ha aggiunto: “Ci ha dimostrato tutto il potere dell’azione, dell’assumersi dei rischi nell’interesse degli ideali, ma anche delle idee. Ma al pari di altri giganti  facenti parte da subito dell’Anc  –  come Sisulu e Tambo  –  Madiba ha saputo  tenere a freno e domare la sua rabbia. Ha incanalato il suo desiderio di combattere in un’organizzazione,  in piattaforme e strategie operative.” E ancora: “Mandela ha compreso lo spirito umano e come esso sia legato a quello di tutti.  C’è una parola in Sudafrica,  Ubuntu,  che descrive e condensa questo suo immenso dono: egli ha saputo vedere che siamo tutti legati gli uni agli altri in modi invisibili e che sfuggono allo sguardo; che esiste unione nel genere umano; che possiamo conseguire il nostro pieno successo condividendolo con gli altri e prendendoci cura di chi abbiamo attorno”.  

La giornata non ha regalato solo parole, ma anche gesti significativi, come la stretta di mano tra Obama e il Presidente cubano Raul Castro, che ha inevitabilmente fatto il giro del web. Sul palco degli interventi ufficiali c’era infatti anche Cuba, uno dei Paesi che ha sostenuto più di tutti la lotta di Mandela, non dopo, ma prima della sua vittoria, quando era in carcere, quando l’allora Presidente americano Ronald Regan e il Primo ministro inglese Margareth Tatcher lo definivano un terrorista e sostenevano il regime razzista. Una verità riconosciuta più volte dagli organizzatori del Memorial e che si racchiude nei fatti nel 1988 a Cuito Cuanavale, quando i soldati di Cuba e dell’Angola, coadiuvati dai guerriglieri della Namibia, dopo una campale e purtroppo sanguinosa battaglia costrinsero l’esercito del Sudafrica bianco alla ritirata, aprendo una crisi irreversibile in quel regime. L’aiuto di Cuba è poi proseguito negli anni ’90 con l’invio di migliaia di medici nel Sudafrica appena liberato e ieri Raul Castro – che ha assunto nel suo Paese la delicata sfida di “attualizzare la Rivoluzione” – ha potuto affermare dal palco che “Mandela è un esempio insuperabile per l’Amercia Latina e i Caraibi che avanzano oggi verso l’unità e l’integrazione rispettosi delle loro diversità, con la convinzione che il dialogo e la cooperazione sono il cammino per la soluzione delle differenze e la convivenza civile tra chi la pensa diversamente”.

Di delegazioni ufficiali a Soweto ce ne erano tante, ma anche la scelta della lista degli interventi ufficiali, secondo le decisioni degli organizzatori, è un fatto degno di nota: Dilma Roussef (che come Mandela ha conosciuto la lotta armata ed il carcere per affermare la libertà nel suo Paese) per il Brasile; Li Yuanchao per la Cina, Pohamba per la Namibia, Mukhejere per l’India, ed infine Ban Ki Moon per l’Onu che ha definito Mandela “un baobab dell’intero Pianeta”. Paesi “vicini” al Sudafrica o ritenuti “grandi” in un Mondo che per fortuna è più multipolare di quello conosciuto nel 900 da uomini come Mandela, ma dove l’Europa risulta purtroppo per noi “non pervenuta” per la sua incapacità dimostrata negli anni di agire sulla scena internazionale come soggetto unico.

E poi, una nota interna al Sudafrica, ma che è da monito per tutti. Le bordate di fischi a Zuma, l’attuale Presidente del Sudafrica, anch’egli dell’Anc, il partito di Mandela, ma che evidentemente, a causa della violenza e della corruzione che alimentano il Paese, rappresenta una classe politica non al 100% degna della sua eredità politica e morale. A dimostrazione che per i rivoluzionari come Mandela non c’è mai sconfitta o vittoria definitiva, perché la storia prosegue all’infinito, ma può esserci vittoria universale, quando la propria lotta ha reso possibile un balzo in avanti in un determinato momento storico e resta scolpita come esempio per i momenti futuri.

LA CERIMONIA INTEGRALE

Scritto da Dario Chiocca


Classe '78, è tra i fondatori de L'Iniziativa, di cui è presidente. Puteolano, è cresciuto nel quartiere di Monterusciello, dove risiede. Laureato in Giurisprudenza, impegnato da sempre sulle questioni sociali, anche nei movimenti studenteschi e nelle organizzazioni sindacali, dal 2010 è avvocato presso il Foro di Napoli e svolge la sua attività professionale nel campo nel diritto civile e del lavoro. In ambito di normativa del lavoro, si occupa inoltre di formazione.