Il legame tra coesione sociale e crisi economica

Al cuore della teoria classica economica vi è la concezione dell’homo oeconomicus, mosso da razionalità ed orientato a scelte che massimizzino la propria utilità personale. Il mercato è luogo di incontro tra offerta e domanda e, autonomamente, riesce a garantire l’equilibrio tra vendita di prodotti e soddisfazione degli attori coinvolti. Questo quadro idilliaco va in frantumi nel momento in cui l’economia incontra la società, in una interazione inevitabile e ricca di conseguenze.
Vista in quest’ottica, la formula di “crisi economica globale” risulta insufficiente se non è affiancata da quella di “scarsa coesione sociale”. Lo studio “Barometro della coesione”, svolto dal 1989 ad oggi da un gruppo di sociologi dell’Università Jacobs di Brema per la Fondazione Bertelsmann, identifica i fattori principali della coesione sociale nelle solide relazioni che si instaurano tra gli individui; un senso di attaccamento diffuso nei confronti della società ed un sentimento di responsabilità verso il bene comune. Nelle parole di Carlo PatrignaniNon sono, dunque, i fattori economico – finanziari – denaro, carriera, consumi, potere – a motivare le persone ma, insieme ad una redistribuzione equa ed uniforme della ricchezza, la qualità dei rapporti sociali, dell’interazione con gli altri.”Anche in questo caso, economia e società risultano indistricabilmente relazionate: diseguaglianze economiche si traducono in diseguaglianze sociali, con una costante ed inarrestabile disaffezione dei cittadini nei confronti dei beni comuni e sempre più chiusi in un’ottica di egoistica sopravvivenza personale.
Ad aggravare questa situazione, si aggiungono i dati riportati dall’ultimo Rapporto sulla coesione sociale pubblicato dall’Inps, dall’Istat e dal Ministero del Lavoro. Precariato e basse retribuzioni, poca tutela per fasce deboli, invecchiamento della popolazione e condizione di lavoro di donne e giovani fortemente penalizzata (sul sito dell’Istat è possibile scaricare e leggere l’intero rapporto). Il tutto va poi inquadrato nel grafico tracciato dall’economista canadese Miles Corak: incrociando diseguaglianza tra redditi e mobilità di reddito tra generazioni, risulta un’Italia altamente stratificata e chiusa in “caste” socio-economiche che non prevedono una prospettiva di cambiamento della propria condizione. L’Italia è vittima di un immobilismo sociale per cui, quasi al pari di Gran Bretagna e Stati Uniti, almeno metà dei vantaggi economici per ogni individuo deriva dal fattore famiglia, mentre lo stesso pesa solo un quinto sui figli norvegesi, danesi e finlandesi.
Come interrompere questo circolo vizioso e distruttivo per il Paese? Intervenendo sulle politiche sociali, implementando quelle scolastiche ed incidendo sul fisco, non solo con prelievi differenziati a seconda del reddito, ma soprattutto incidendo sui meccanismi che permettono questa forte iniquità economica, con accumuli di grandi capitali nelle mani di pochi e incertezza economica ed emotiva nelle vite di molti.

Scritto da Laura Longo


Laura Longo, nata a Napoli il 04/03/1987. Laureata in Comunicazione pubblica, sociale e politica alla "Federico II" di Napoli, nel 2011. Vivo a Pozzuoli e qui collaboro con diverse realtà associative. Mi piace scrivere di società ed attualità. Seguire eventi culturali in città ed apprezzarne, ogni giorno, le bellezze inaspettate. Non mi piace l'inciviltà, il rumore, l'arroganza.