Salvatore Morelli e l’emancipazione femminile, ne parliamo con la storica Matilde Iaccarino

In occasione dell’8 marzo la storica Matilde Iaccarino ha presentato al Palazzo Migliaresi di Pozzuoli la sua ricerca su Salvatore Morelli, deputato liberale italiano che ha sostenuto la questione dell’emancipazione femminile nel periodo immediatamente successivo alla creazione del Regno d’Italia nel 1861. In seguito all’evento, abbiamo incontrato Matilde Iaccarino, storica e insegnante presso il Liceo Seneca di Bacoli, per discutere del suo studio e dell’attualità del discorso di Morelli sull’emancipazione femminile, traguardo ancora lontano sebbene si fatichi a riconoscerlo.

Salve professoressa, parliamo della sua ricerca. Come nasce il suo progetto e soprattutto, chi era Salvatore Morelli?

Questa ricerca su Salvatore Morelli nasce nel 2003, nei Campi Flegrei sono stata la prima a fare delle ricerche su questo personaggio che solo oggi, nel 2018, ha avuto il giusto riconoscimento per il suo impegno. Infatti in occasione dell’8 marzo il Comune di Pozzuoli ha scoperto una targa dedicata a lui in via Rosini.

Morelli era un mazziniano, deputato liberale del Regno d’Italia, nasce a Carovigno, in provincia di Brindisi, e muore a Pozzuoli nel 1880, in una locanda accanto al cinema Sofia, ecco perché Pozzuoli è collegata a questa figura.

Il mio interesse per lui nasce in modo casuale, nel 2002 ero impegnata in altre ricerche storiche (sono laureata in storia contemporanea) sul risorgimento e sul movimento operaio, e mi sono imbattuta in questa figura che mi ha subito affascinato. È stato il primo deputato liberale de regno a fare delle proposte in favore delle donne, prima fra tutte quella sul divorzio; purtroppo quasi tutte le sue proposte sono state respinte, l’unica proposta di legge che fu approvata fu quella riguardante la possibilità per la donna di testimoniare in un processo. Venne deriso da tutti, anche dalla stampa, a causa del maschilismo e del sessismo imperante nel Regno d’Italia. Nonostante ciò, Morelli ha dedicato la sua vita proprio alla lotta per l’emancipazione femminile, non si sposò, non aveva motivazioni particolari, semplicemente credeva che la causa della donna fosse la causa dell’umanità, era convinto che per avere una società migliore fosse necessario emancipare la donna, concederle i diritti politici e civili che fino a quel momento le erano stati negati.

Quante furono le sue proposte di legge, e quali le più rivoluzionarie?

Morelli ha elaborato ben 149 proposte interessantissime, la più famosa è quella sul divorzio, che egli propone cento anni prima dell’approvazione effettiva del divorzio in Italia, confermato con volontà popolare tramite il referendum del 1974. Morelli non era contro la famiglia, anzi, era proprio per la famiglia, ma credeva che se per due persone stare insieme diventa impossibile, marito e moglie hanno il diritto di separarsi e rifarsi una vita. Questo ben 150 anni fa! Tra l’altro Morelli propose anche una legge per chiudere le cosiddette “case chiuse”, i lupanari, che furono poi chiusi da Merlin negli anni ’50, perciò ci aveva visto proprio lungo! Per questo motivo mi appassionai a questa figura, lo ritenevo un utopista con la grandiosità di chi vede avanti, che però nel proprio tempo non è stato capito e apprezzato.

Purtroppo egli fu osteggiato non soltanto dagli uomini, ma anche dalle donne; questa cosa ci tengo a dirla, il principale nemico dell’emancipazione femminile, anche oggi, sono le donne stesse che non sono solidali tra loro, che sono eccessivamente competitive, che non si sostengono a vicenda, questo in tutti gli ambiti, in famiglia, nello studio, nel lavoro.

Prima di parlare della questione femminile oggi, ci dica come si è svolta la ricerca. Visto che Morelli è poco conosciuto, dove ha reperito il materiale?

Sono stata tre giorni a Carovigno, alla casa natale di Morelli. C’era una piccola sezione nella biblioteca di Carovigno dove ho trovato molto materiale inedito, manoscritti, copie di discorsi, atti. Ci fu un assessore che mi aiutò molto, permettendomi di accedere a materiale vergine, mai aperto; fu lì che mi appassionai a Morelli. Poi tornai qui, scrissi la mia ricerca che fu pubblicata sul Bollettino Flegreo. Di questa figura si sono perse le tracce, solo recentemente è stata riscoperta; c’era soltanto una biografia di Morelli risalente al 1918 scritta da una storica straniera e poi più nulla. Invece è una figura che merita attenzione; c’è una cosa interessante che scrive nella sua opera La donna e la scienza. Egli rivaluta la donna Eva, secondo lui se la donna non avesse dato ad Adamo la mela della conoscenza egli non sarebbe mai cresciuto, sarebbe rimasto un bambino, la donna quindi è come Prometeo che ha rubato il fuoco agli Dei. Trovo che sia un’immagine bellissima, questa della donna-Prometeo, un’immagine che non ho più trovato.

Nell’Italia postunitaria il tasso di analfabetizzazione delle donne era molto elevato. Salvatore Morelli si è occupato del problema in qualche modo?

Certo, Morelli intraprese una battaglia insieme ad Annamaria Mozzoni (fondatrice della Lega dei diritti femminili) per l’istruzione femminile, perché le donne non avevano accesso all’istruzione, in particolar modo all’istruzione superiore. Fu così che a poco a poco le donne cominciarono a laurearsi, la prima laureata in Lettere fu a Napoli nel 1875. Cominciarono ad istruirsi, ma questo non bastava. Anche oggi lo vediamo, se vuoi accedere ai gradi più alti di una carriera sei costretta a rinunciare a qualcosa, a combattere con i sensi di colpa, perché c’è l’archetipo femminile che combatte dentro te e ti impone di essere madre, di pensare soprattutto alla famiglia. All’epoca la società patriarcale imponeva alle donne di stare a casa, di badare alla famiglia e sottostare alla volontà del padre e del marito.

Passiamo adesso ai giorni nostri, qual è oggi la condizione della donna italiana a distanza di 150 anni dall’inizio del processo di emancipazione femminile?

Sicuramente siamo molto lontani da una effettiva parità dei sessi. Se pensiamo per esempio al Sud Italia, la condizione della donna meridionale è molto disagiata, la maggior parte delle figlie di buona famiglia aspirano al buon partito, anche se lavorano. Inoltre sono pochissimi gli uomini che si occupano della casa e dei figli, l’accudimento di questi ultimi spetta alla donna, nella maggior parte dei casi. Qui nella zona dei Campi Flegrei moltissime donne non lavorano, stanno in casa, perché è ancora così, il marito lavora per portare i soldi a casa e la donna si occupa dei figli.

Poco fa ha detto che per le donne oggi è difficile fare carriera nel mondo del lavoro. Ecco, rispetto a questo discorso, come definirebbe il rapporto tra le donne e la politica?

Il rapporto tra la donna e la politica è complesso. Per esempio, trovo offensivo il discorso delle quote rosa. Spesso nella campagna elettorale la donna viene affiancata a una figura maschile, perché si parte da una situazione di inferiorità, chi voterebbe mai una donna? Perciò l’uomo prende in carico la donna per permetterle di avere voti, quindi è sempre l’uomo che deve aiutare e sostenere la donna. Si parte dal concetto che la donna da sola non ce la possa fare, a meno che non abbia uno sponsor – maschile – forte. Però questo è anche colpa della donna, che chiede la mano sulla spalla dell’uomo per essere introdotta nella vita politica. Oggi pensiamo di essere emancipate ma non è così. Morelli partiva da lontano su questo discorso, nell’opera La donna e la scienza egli dice una cosa illuminante per me e tuttora valida: per la donna non ha funzionato il concetto socratico del “conosci te stesso”, la donna è convinta di non valere abbastanza.

Il femminismo del ’68 sembra tramontato, mi sembra che stia ritornando l’inverno, vedo un’involuzione in senso conservatore, le donne di oggi sono più conservatrici di mia madre che negli anni ’50 si è laureata e si è costruita una carriera, prima di pensare alla famiglia. È come se le donne fossero state letteralmente gettate nella società e rese libere, ma loro non sono in grado di credere in sé stesse, inoltre si scontrano su tutto, come per esempio sulla scelta di fare o meno dei figli. La donna è continuamente costretta a dimostrare qualcosa.

La sua ricerca è stata presentata l’8 marzo, una ricorrenza che viene celebrata come “la festa della donna”. Cosa pensa di questa giornata?

L’8 marzo dovrebbe servire a ripescare quanto è stata dura avere la nostra libertà, il diritto di voto, il diritto all’istruzione. L’8 marzo dovrebbe servire per ampliare la conoscenza del percorso fatto per raggiungere gli obiettivi che abbiamo raggiunto e che dovrebbero continuamente essere consolidati. Dovrebbe essere l’8 marzo ogni mese, ogni settimana, ogni giorno.

Secondo lei qual è la chiave di volta per risolvere questi problemi e permettere alle donne di essere più consapevoli delle proprie possibilità?

La conoscenza. Conoscere da dove veniamo noi donne comuni (eravamo vittime degli uomini, del padre, del marito, fino a 100 anni fa) per capire dove siamo arrivate. E non tollerare mai che un uomo ci metta una mano sulla spalla per aiutarci nel lavoro, nell’ingresso alla vita politica, non pensare mai che abbiamo per forza bisogno di un compagno per sentirci amate e accettate. Oltre a convincere le donne che, in caso di violenza, possono recarsi agli sportelli e ai centri territoriali, c’è bisogno di una rifondazione dell’educazione sentimentale e culturale di entrambi i sessi, bisogna rivedere l’archetipo della gelosia, delle finte attenzioni, bisogna distinguere l’attenzione dalla mania del controllo e poi l’uomo deve rispettare la libertà della donna, ci deve essere rispetto reciproco. Oggi le nuove generazioni sembrano essere molto più libere rispetto alle generazioni passate, ma hanno più paura della loro libertà; il discorso dell’emancipazione oggi è molto più complesso. All’epoca di Salvatore Morelli c’erano pochi obiettivi, diritto di voto alle donne, istruzione e la possibilità di essere pari all’interno del contesto familiare. Apparentemente oggi li abbiamo tutti e tre, ma la situazione è più complessa, oggi le donne sono più libere, ma meno emancipate, credono di avere tutto, ma in realtà è una libertà più formale che sostanziale. La donna deve cominciare a sperimentare la vera libertà, che certo fa paura, perché ci fa sentire sole, ma se le donne sperimentassero la vera libertà troverebbero anche la solidarietà di altre donne che si sentono allo stesso modo. Bisognerebbe anche decostruire il culto maschilista della bellezza, le donne oggi devono essere tutte giovani e belle, perché se non sei giovane e bella per molte persone non sei abbastanza donna. Bisogna liberarsi del preconcetto maschilista che ci presenta la libertà come un pacco ben incartato e infiocchettato, ma che all’interno è completamente vuoto. In sintesi, per raggiungere questi nuovi obiettivi sono necessari due ingredienti: rieducazione e solidarietà femminile.

Scritto da Rossella Mormile


Classe 1993, è tra gli ultimi arrivati de l’Iniziativa. Vive da sempre a Bacoli. Appassionata di teatro, letteratura e serie tv, dopo aver studiato a Parigi per alcuni mesi si è da poco laureata in lingue alla Federico II ed è iscritta alla magistrale di Lingue e Comunicazione Interculturale in Area Euromediterranea all’Orientale