Europa, la mappa degli indipendentismi/ Paesi Baschi, una ferita che viene da lontano

Nel primo appuntamento della rubrica sugli indipendentismi abbiamo affrontato la questione più attuale, ovvero quella della Catalogna. Tuttavia, quello catalano non è l’unico “caso aperto” presente in Spagna. Anche l’Andalusia, la Galizia e soprattutto i Paesi Baschi sono stati e sono protagonisti di forti sentimenti indipendentisti. Per il governo spagnolo l’unità della nazione ha sempre costituito una prerogativa indispensabile da preservare, assumendo talvolta i connotati di un’ossessione soprattutto durante le dittature di Primo de Rivera e di Francisco Franco. È per questa ragione che l’indipendenza, per alcune regioni spagnole, è diventata di fatto una sorta di resistenza nei confronti di uno Stato spesso autoritario e centralista. Tale analisi, però, non può essere considerata completa dati i molteplici elementi da prendere in considerazione, che variano da caso a caso.

L’indipendentismo che ha assunto nel corso degli anni maggiore rilevanza tra quelli spagnoli è senza dubbio quello basco, che tuttavia negli ultimi anni ha subito un significativo e progressivo ridimensionamento. Ad oggi infatti i leader del principale partito indipendentista basco, il Partido Nacionalista Vasco (PNV), parlano di “autonomia” anziché di indipendenza. Del resto la posizione di Urkullu, il leader del PNV, riguardo la crisi catalana lo scorso mese era appunto quella di un dialogo tra le parti, di un confronto politico. Ad attutire i secolari attriti tra il governo basco e quello centrale si aggiunge un accordo stipulato tra il PNV e il Partido Popular, la forza politica maggiormente centralista. L’accordo consisterebbe in ingenti investimenti nei Paesi Baschi da parte dello Stato centrale – quattro miliardi di euro, investiti soprattutto in alta velocità ferroviaria – in cambio del sostegno al governo a maggioranza popolare.

LE ORIGINI – Procediamo con ordine. L’indipendentismo basco trae origine in più fattori. Dal punto di vista geografico e culturale, i Paesi Baschi sono un’entità ben definita. Una parte del territorio di trova in Francia, a nord dei Pirenei – ovvero le provincie di Labourd, della Bassa Navarra e di Soule, che fanno parte del Dipartimento francese dei Pirenei Atlantici. La parte a sud dei Pirenei appartiene alla Spagna, con le provincie di Biscaglia, Guipuzcoa e Araba. I baschi chiamano le zone a nord e a sud dei Pirenei rispettivamente Ipar Euskal Herria, o più brevemente Iparralde, e Hego Euskal Herria, abbreviato in Hegoalde. Se in spagnolo la regione dei Paesi Baschi è chiamata País Vasco, i baschi indicano il proprio territorio come Euskal Herria, che vuol dire “popolo della lingua basca”. L’idioma basco è l’euskera ed è infatti uno degli elementi principali dell’identità di questo popolo; essa è considerata l’unica lingua preesistente agli idiomi indo-europei. Importante elemento della cultura basca è l’inno, il Guernikako arbola (l’Albero di Guernika), mentre tra gli usi e i costumi più famosi c’è il tradizionale cappello chiamato appunto “basco”. Un altro nome con cui i baschi chiamano la propria terra è Euskadi, un neologismo che assume invece un significato politico e che è stato coniato dal fondatore del PNV, nonché da colui che è considerato il padre dell’indipendentismo basco, Sabino Arana Goiri. Il termine “Euskadi” è costituito dalla radice “euzko”, che vuol dire “basco” e dal suffisso “di”, ovvero “insieme”, e si riferisce quindi all’unità politica delle sette province basche. A Sabino Arana spetta anche la creazione della bandiera basca, l’Ikurriña.

Dal punto di vista teorico, il pensiero di Arana si basa da una parte sulla presunta superiorità razziale basca e dall’altra sul sistema dei fueros. Il sistema forale, adoperato in Spagna dal XIV al XIX secolo, era costituito appunto dai fueros, ovvero le disposizioni giuridiche e gli statuti che i sovrani concedevano a specifici territori regolandone la vita politica, economica, giuridica e fiscale. I territori erano dunque riconosciuti dalla Corona, ma chiaramente non era attribuita loro alcuna effettiva sovranità. Tuttavia, questo tipo di organizzazione formò la base dei movimenti nazionalisti baschi. Alla fine dell’800 infatti, quando si affermò lo Stato liberale e di conseguenza il sistema forale venne definitivamente smantellato, le provincie basche furono unificate al resto del Regno al fine di creare un unico Stato – nazione. Nell’ambito della strutturazione di un più maturo indipendentismo basco, a svolgere un ruolo fondamentale furono anche le guerre carliste. Per via del sostegno dei baschi a Carlo V, il re Alfonso XII revocò infatti l’autonomia precedentemente concessa ai Paesi Baschi, mentre il governo di Canovas occupò militarmente il territorio. È proprio in questo contesto che nacque il Partido Nacionalista Vasco, nel 1895. Più tardi, durante la dittatura di Primo de Rivera, la cultura basca venne duramente repressa.

LA LOTTA ANTIFRANCHISTA – In seguito alla fine del regime, il PNV subì una prima scissione interna, da cui nacque Acción Nacionalista Vasca, la prima espressione di indipendentismo basco di sinistra. Durante la Guerra Civile (1936-1939), questo assunse i contorni di vero e proprio antifascismo. Il franchismo era infatti fortemente centralista ed intollerante verso qualsiasi rivendicazione di autonomia, politica, culturale e persino linguistica; di conseguenza, le minoranze oppresse si mobilitarono presso il Fronte Popolare, unione di tutte le forze politiche opposte ai nazionalisti di Francisco Franco. È nel contesto della guerra civile che la città basca di Guernica, nel ’37, fu duramente bombardata dall’aviazione tedesca in supporto alle truppe franchiste.

NASCE L’ETA – In seguito alla vittoria di Franco e alla conseguente instaurazione della dittatura, destinata a durare ben trentanove anni, l’indipendentismo basco insieme a quelli di tutta la penisola iberica si rafforzarono in risposta ad una politica autoritaria e indisposta verso le minoranze. È proprio durante la dittatura di Franco che nacque l’ETA (Euskadi Ta Askatasuna, ovvero Paesi Baschi e Libertà), l’organizzazione politico-militare per l’autodeterminazione basca. L’ETA rappresenta infatti il passaggio ad un indipendentismo attivo, che opera attraverso la lotta armata. Essa si sviluppò dapprima da un gruppo di studenti che nel 1952 formarono il collettivo Ekin ( Azione); successivamente il gruppo si legò alla giovanile del PNV per poi staccarsene definitivamente nel 1959, costituendo il movimento extraparlamentare chiamato in un primo momento ATA ( Aberri Ta Askatasuna, cioè Patria e Libertà) e successivamente, appunto, ETA. L’organizzazione assunse gradualmente connotati terroristici; la prima azione violenta rivendicata ebbe luogo nel luglio del 1961, quando ci fu il tentativo – fallito – di far deragliare un treno diretto a San Sebastián su cui viaggiavano alcuni importanti generali franchisti in procinto di recarsi alla celebrazione del venticinquesimo anniversario della guerra civile e della vittoria franchista. Durante l’intero periodo che vide Franco al potere, l’ETA compì numerosi attentati che causarono la morte di importanti esponenti del regime, ma anche di numerosi civili rimasti uccisi. È interessante notare che l’organizzazione terroristica ebbe un ruolo cruciale non solo nella militanza armata contro il franchismo, ma anche nella sua effettiva fine. Questo per via della Operación Ogro (Operazione Orco), che ebbe luogo a Madrid il 20 dicembre 1973. L’attentato consistette nell’uccisione di Luis Carrero Blanco, capo del governo e indicato dallo stesso Franco come suo successore in seguito alla sua morte. La sua auto venne fatta saltare in aria in un volo di circa quaranta metri.

Dopo la morte di Francisco Franco in Spagna iniziò il periodo chiamato Transición Democrática, che vide appunto un ritorno alla democrazia. Durante la dittatura, l’ETA si era più volte divisa in seguito a periodiche assemblee sulla base di divergenze nella scelta delle modalità – che per alcuni dovevano essere maggiormente politiche, per altri prevalentemente militari – e di divergenze di natura ideologica e politica: una parte dell’ETA era puramente nazionalista, un’altra operò una virata verso il marxismo e di conseguenza verso la lotta operaia per i Paesi Baschi indipendenti e socialisti. Con il ritorno della democrazia e l’instaurazione della monarchia costituzionale, il Paese passò sotto la guida del re Juan Carlos, che scongiurò l’opposizione del Partito Comunista, legalizzandolo. La nuova Costituzione elaborata sotto il governo di Suárez, democratica e liberale, riconosceva le minoranze. Questa fu approvata dal referendum indetto a tal proposito; tuttavia, nelle regioni basche l’astensionismo sfiorò vette che andavano oltre il 50%, fattore che diede nuovo impulso al nazionalismo basco. Nel 1979 venne approvato lo Statuto di Autonomia dei Paesi Baschi: questo quietò parte dei nazionalisti, ma non bastò all’ala più radicale. Gli attentati dell’ETA infatti continuarono. Il governo di Madrid reagì istituendo i GAL, Grupos Antiteroristas de Liberación, che svolsero tuttavia le proprie mansioni in maniera spesso discutibile, assumendo talvolta connotati quasi di squadrismo attraverso l’attuazione di rapimenti, torture e uccisioni di cittadini anche solo sospettati di avere legami con l’organizzazione. I GAL, in effetti, sono stati successivamente definiti espressione di terrorismo di Stato e quel periodo viene comunemente definito guerra sucia (“guerra sporca”). Esempi emblematici della brutalità e dell’imprecisione dei GAL furono il rapimento e la tortura di Segundo Marey, dichiarato poi innocente, e l’assassinio di Santiago Brouard, leader del partito indipendentista basco Herri Batasuna, fondato nel 1978 e sospettato di avere legami con l’ETA – legami che tuttavia non furono mai dimostrati.

GLI ANNI RECENTI – Nel 1995 l’ETA avanzò una proposta chiamata Alternativa Democrática, in cui offriva la fine della lotta armata in cambio del diritto all’autodeterminazione dei Paesi Baschi, ma il governo spagnolo rifiutò e gli attentati ripresero. Un ulteriore tentativo di negoziazione tra l’organizzazione e il governo ebbe luogo nel 1999, ma non si ottenne che una tregua. Gli attentati ripresero infatti negli anni 2000. Intanto, nel 2003, il partito Batasuna è dichiarato illegale e viene sciolto dal Tribunale Costituzionale spagnolo. Nel 2011 L’ETA, attraverso un comunicato ufficiale, dichiara “l’inizio dello smantellamento delle strutture logistiche e operative derivanti dalla pratica della lotta armata” e di avere invece incrementato “la struttura diretta a realizzare le questioni politiche, con l’obiettivo di agevolare le conversazioni tra i diversi agenti politici per avanzare nel processo di pace”. Tale processo di disarmo sarebbe finito nell’aprile di quest’anno, in cui in un ulteriore comunicato ufficiale l’organizzazione ne dichiara appunto il completamento. Tuttavia, non dichiara lo scioglimento dell’organizzazione né la rinuncia a perseguire l’indipendenza, ma ne rivede piuttosto le modalità.

LE INCOGNITE, OGGI – In conclusione, in un momento storico in cui i nazionalismi sono in rimonta, un indipendentismo che nei secoli ha avuto un’entità fortemente significativa e che è stato il più radicato all’interno del territorio spagnolo vive invece ad oggi un oggettivo ridimensionamento. Tuttavia, se i termini del dibattito si sono spostati su posizioni più moderate, non sarebbe ad ogni modo corretto affermare che le rivendicazioni basche siano sparite dalla scena politica del Paese. E soprattutto non è prevedibile se e come il sentimento indipendentista basco, mai del tutto sopito, sarà influenzato dalla crisi catalana e/o dallo scenario politico internazionale.

Scritto da Martina Brusco


Nata a Napoli nel 1996, residente a Pozzuoli. Studentessa di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. Entra a far parte dell’associazione e testata giornalistica “L’Iniziativa – Voce Flegrea” nel 2014, con il desiderio di coniugare la passione per il giornalismo e la politica all'impegno sociale sul territorio.