Campo container di Arco Felice, una bomba sociale ignorata per troppi anni

Pozzuoli, o quanto meno la gran parte dei suoi cittadini, ha “scoperto” l’esistenza di campi container sul territorio comunale. E lo ha fatto in modo brutale, con le proteste dei circa 200 residenti dei prefabbricati di Via Dalla Chiesa ad Arco Felice, che si oppongono agli ordini di sgombero firmati lo scorso 4 gennaio dal sindaco Figliolia. Nel tardo pomeriggio di ieri, venerdì 19 gennaio, la tensione ha raggiunto l’apice con blocchi stradali e l’assedio all’ingresso al Comune presidiato da numerosi agenti in assetto antisommossa.

Ma andiamo con ordine. I provvedimenti del Primo cittadino, interpretati da alcuni quasi come un atto dovuto, seguono i risultati delle analisi condotte dopo un sopralluogo dell’Asl del dicembre 2016, che hanno rilevato la presenza di amianto nei tetti e nelle pareti. Quei manufatti, costruiti nel 1984 allo scopo di ospitare provvisoriamente commercianti nel pieno della crisi bradisismica, e poi occupati senza titolo da famiglie senza tetto, contengono fibre di amianto, con evidenti conseguenze per la salute di chi ci vive e dorme da anni. La storia del campo container si intreccia dunque con quelle individuali dei nuclei familiari rimasti “invisibili” e sconosciuti per anni a gran parte delle Istituzioni, della politica e anche alla stessa cittadinanza puteolana.

I NUMERI – Un microuniverso fatto di disperazione, di chi non ha avuto altra scelta dove andare a dormire, di chi è “subentrato” ai precedenti occupanti, e anche di chi si è visto riconoscere sulla carta il diritto ad una casa, ma è in attesa da decenni di prenderne possesso. Storie diverse, accomunate da una stessa emergenza, se così può essere chiamata una condizione reiterata per 33 anni. I residenti ufficiali sono in tutto 173; le famiglie regolarmente inserite nelle graduatorie di assegnazione di case popolari sono 19 su 43. La sorte di questi ultimi è legata alla “sfortunata” vicenda degli 80 alloggi di Monterusciello, quelli il cui completamento è stato bloccato nelle ultime fasi, dopo diversi incidenti di percorso nell’appalto pubblico e interdittive antimafia. Per le altre famiglie, oltre l’occupazione abusiva non sembrano esserci altre soluzioni all’orizzonte. Per completezza di informazione, gli occupanti non pagano utenze per luce e acqua; tutti provano in qualche modo a sbarcare il lunario, ma affianco a casi di gravi patologie invalidanti o al di sotto della soglia della povertà, c’è anche chi non esclude la presenza di alcuni nuclei familiari con regolari posti di lavoro.

SOLUZIONI? – Secondo le indicazioni raccolte in questi giorni dagli organi di stampa che hanno seguito la vicenda (cfr. Cronaca Flegrea e Quarto Canale), la posizione del Comune di Pozzuoli sarebbe quella di riconoscere un contributo sociale alle famiglie, in modo da favorire l’affitto presso altre abitazioni, da concedere in ogni caso nel rispetto delle leggi e a seguito di verifiche delle condizioni reddituali di ogni singolo nucleo. Non c’è ancora nulla di ufficiale o messo nero su bianco, non è chiaro se questa soluzione riguardi tutte le 43 famiglie destinatarie dell’ordinanza di sgombero o solo quelle in graduatoria per gli alloggi popolari. E soprattutto, non si conoscono i tempi, la durata e l’entità di un simile intervento sociale e se ci sono i margini per una proroga del termine, fissato al 30 gennaio, entro cui dovrebbero essere lasciate le “abitazioni”.

TROPPO SILENZIO – Ed il punto più controverso, nella gestione di una crisi che al momento sembra ricadere solo sul Comune, ultimo anello istituzionale, è proprio questo: la mancanza di comunicazioni e prese di posizioni pubbliche della politica. Certo, le parole vanno pesate bene, soprattutto in una situazione così delicata e complessa. Ma se finora sono state evitate strumentalizzazioni o tentativi di “soffiare sul fuoco”, il silenzio assordante di gruppi consiliari e forze politiche cittadine, di maggioranza e opposizione, appare sempre di più (o rischia di apparire) con il passare delle ore un atteggiamento da Ponzio Pilato, nei confronti dei diretti interessati e agli occhi di tutta l’opinione pubblica. Troppo semplice aspettare che la questione venga risolta o spenta in altre sedi. Fare politica è anche assumere posizione quando è difficile, se non impossibile, prendere applausi da tutti. Che si abbia il coraggio, dunque, di dire che la soluzione va affrontata sì in termini generali, ma probabilmente deve seguire una valutazione caso per caso.

UN SITUAZIONE COMPLESSA – A Pozzuoli possono esistere nel 2018 piccole o grandi ghetti, simili a moderne “baraccopoli” (n.b., ne esistono anche a Licola Mare e in località La Schiana)? Per ipotizzare l’erogazione di un sistema di contributi all’affitto, secondo regole ben precise, occorre aspettare l’occupazione di immobili pubblici? Viene prima il diritto ad avere un tetto, qualunque esso sia, o alla salute dei bambini pregiudicata sotto quello stesso tetto fatto di veleno? Qual è il limite di reddito oltre il quale la scelta di vivere in un container costruito in amianto va considerata irresponsabile e impedita con la forza, a tutela dei più piccoli? E, in termini ancora più concreti, a che punto è l’iter per completare quei benedetti 80 alloggi popolari a Monterusciello, la cui vicenda è comunque legata, almeno in parte, a questa bomba sociale? Sono domande di difficile risposta, anche una sola alla volta, figurarsi tutte insieme. Troppo comodo, in ogni caso, giudicare e ragionare di queste cose senza averle vissute sulla propria pelle. E allora ritornano alla mente di chi scrive le parole di una giovane donna intervistata circa 8 anni fa in quel campo container, per l’edizione su carta del mensile L’Iniziativa, quando affermò, in tempi di pace e senza l’incombenza dell’ordine di sgombero, che aveva due speranze: la prima, quella di avere al più presto la casa il cui diritto le era stato riconosciuto; la seconda, che all’abbandono di quel container fosse seguito immediatamente il suo abbattimento definitivo, “per evitare che altri, più sfortunati di me, crescano qui come è capitato a me”. Una sintesi perfetta, che oggi lo Stato, nelle sue varie Istituzioni e diramazioni, fa fatica a rendere concreta.

Scritto da Dario Chiocca


Classe '78, è tra i fondatori de L'Iniziativa, di cui è presidente. Puteolano, è cresciuto nel quartiere di Monterusciello, dove risiede. Laureato in Giurisprudenza, impegnato da sempre sulle questioni sociali, anche nei movimenti studenteschi e nelle organizzazioni sindacali, dal 2010 è avvocato presso il Foro di Napoli e svolge la sua attività professionale nel campo nel diritto civile e del lavoro. In ambito di normativa del lavoro, si occupa inoltre di formazione.