Campi Flegrei e bradisismo, adesso basta.

Basta alle speculazioni e allo sciacallaggio mediatico

Parte la campagna di comunicazione a cura della nostra redazione.

Abbiamo letto il decreto legge n. 140 del 2013, conosciuto come “decreto Campi Flegrei”. E pensiamo ci siano molti aspetti da chiarire. Poniamo, dunque, qualche questione alle Istituzioni, locali e nazionali.

  1. I 46,2 milioni di euro stanziati per il Piano straordinario di analisi delle vulnerabilità delle zone edificate comprendono a loro volta una serie di misure, dalla microzonazione sismica al potenziamento della struttura di Supporto del Capo di Protezione Civile per un massimo 10 unità. Un piano da predisporre ed attuare a cura della Protezione Civile, con il concorso di Regione, Città Metropolitana, Comuni interessati, Ingv e altri enti scientifici e universitari. Da approvare entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto (10 gennaio 2024), con decreto del Ministero della Protezione Civile.
    Sul fronte dell’analisi della vulnerabilità sismica dell’edilizia privata – e della conseguente individuazione di idonee misure di mitigazione e stima del relativo fabbisogno finanziario – sono previsti appena 3 milioni e mezzo di euro. Da dividere tra tutti i diversi Comuni dell’area “realmente e direttamente interessata”. Il decreto precisa, inoltre, che le attività previste sono “procedure semplificate che non hanno il valore di verifica sismica”. Si tratta, dunque, verosimilmente di analisi preliminari, finalizzate all’elaborazione del piano. Non è chiaro se e fino a che punto avverranno i controlli su tutti gli edifici. L’incognita diventa totale sulle risorse necessarie per i successivi interventi edilizi. In occasione degli incontri istituzionali con i rappresentanti del Governo, i sindaci hanno avanzato anche l’ipotesi di potenziare uno specifico sisma bonus.
  2. L’art. 4 del decreto, con il titolo di “Pianificazione speditiva di emergenza”, presenta uno degli aspetti che impongono maggiore attenzione e monitoraggio. La Protezione Civile, insieme a Regione Campania, Prefettura di Napoli ed altri enti interessati, deve elaborare entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto (11 dicembre 2023) uno “specifico piano speditivo di emergenza” contenente le procedure operative da adottare “in caso di recrudescenza delle fenomenologie”. Una pianificazione che, sempre secondo quanto si legge nel decreto, dovrà essere “testata mediante attività esecitative”. Non possiamo prevedere i contenuti di questo Piano, limitato alla sola area più direttamente interessata dal bradisismo e più ristretta rispetto a qualla della zona rossa per rischio vulcanico, che comprende circa mezzo milione di persone dai quartieri collinari di Camaldoli e Posillipo fino al Comune di Monte di Procida. Ma il normale buon senso interpretativo fa pensare che finirà nero su bianco la possibilità di realizzare sgomberi ed evacuazioni su larga scala di quartieri o pezzi di città – che sono cosa ben diversa da interventi mirati su singoli edifici ritenuti vulnerabili alla sollecitazione di scosse di piccola e media intensità – anche senza il concreto rischio di eruzione vulcanica. In attesa di conoscere i dettagli di tali “procedure operative” (condizioni sismiche per adottarle, destinazioni delle popolazioni, durata degli sgomberi e, soprattutto, finalità degli stessi), lanciamo l’allarme sul pericolo di ripetere, ai danni delle comunità locali, strappi urbanistici e scelte speculative. Come già avvenuto in passato: nel 1970, con lo sgombero del solo Rione Terra, diventato un cantiere permanente; nel 1983/84, con l’allargamento di Monterusciello, quartiere popolare dormitorio, privo di identità sociale e le cui abitazioni di proprietà comunali soffrono enormi criticità di vivibilità. Per non parlare di tutte le opere commissariali realizzate in base alla leegge 887 del 1984, progettate e finanziate durante gli ultimi decenni come vie di fuga, ma in alcuni casi discutibili o tuttora chiuse. Utilizzare la gestione di un fenomeno naturale per costuire una emergenza infinita, per la terza volta in poco piùdi 50 anni, sarebbe un colpo durissimo per un territorio che prova con fatica ad apririsi nuove strade di sviluppo economico-sociale, a cominciare da quello turistico-culturale, da affiancare alle attività tradizionali già ridimensionate e messe a dura prova dagli eventi di fine 900.

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Approfondimento con la vulcanologa

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Scritto da Redazione